Sono anni che la parola Manager viene ampiamente utilizzata in ambito sportivo per richiamare anche alla figura dell’allenatore/allenatrice.
Il MANAGER SPORTIVO ha un focus strategico e gestionale occupandosi principalmente della pianificazione dei vari processi dell’organizzazione. Le sue competenze si estendono anche in aspetti economici, amministrativi e spesso anche giuridici. Il ruolo presuppone capacità organizzative attraverso l’attuazioni di piani strutturati in maniera accurata tenendo in considerazione risorse, possibilità e limiti. Quando si parla di risorse organizzative, soprattutto da un punto di vista sportivo, non si può prescindere dalle risorse umane. Visto in questa ottica il manager ha il compito di convogliare le competenze a disposizione in un ambiente di forze interconnesse tra loro. La descrizione di questa figura richiama fortemente quella dell’allenatore/allenatrice , che in primis ha il compito di gestire i propri atleti, senza dimenticare la possibilità di “utilizzare” tutte le figure che la società o il club mette a disposizione. Questa immediata comparazione di funzioni apre le porte alle necessità formative che un tecnico sportivo dovrebbe avere per risultare efficace e coinvolgente. In molte occasioni si è sentito dire l’allenatore deve essere un bravo psicologo, un bravo comunicatore, possedere competenze tecniche sportive specifiche, capacità di problem solving e quindi saper gestire le risorse umane.
“La gestione delle risorse umane è fondamentale, questo vale nel calcio come in tutte le aziende ” Cit. Massimiliano Allegri
Riconosciuta l’importanza legata alla complessità dei sistemi dinamici, possiamo sempre più renderci conto di quanto sia necessario avere un grande ventaglio di competenze per gestire una squadra sportiva. Nel 2021, grazie anche a ricerche scientifiche legate alla pedagogia, psicologia e alle neuroscienze possiamo riconoscere la necessità di avere un approccio olistico nei confronti del gruppo squadra allenato. Questo significa considerare ogni dinamica essenziale per la gestione e lo sviluppo del team. L’allenatore deve lavorare quindi per la gestione dell’ambiente complesso e prima di farlo, strutturare la propria strategia con il club in cui opera. Questo risulta fondamentale non solo per occuparsi direttamente degli atleti ma anche per il contorno. In un settore giovanile, ad esempio, sarà sempre più essenziale avere una strategia per gestire gli atleti e i loro genitori, mentre una prima squadra sarà fondamentale conoscere cultura e idee non solo dei giocatori ma anche delle proprie famiglie .
Il primo passaggio risulterà quindi quello strategico valoriale con il club. Passaggio necessario per strutturare la Vision (futuro), la Mission (qui e ora per raggiungere gli obiettivi), i valori dell’organizzazione, lo stile e infine le possibilità caratterizzanti. Questo proprio perché un allineamento tra le parti darà al lavoro del tecnico una strada da percorrere. La Vision ci mette infatti nella condizione di vedere nella stessa direzione senza disconoscere le fisiologiche differenze prospettiche. In una squadra, come in un club, ogni componente ha una storia, delle esigenze, delle aspettative, una cultura e dei caratteri diversi. Le diversità non devono però essere interpretate come delle divergenze, intese come difformità di vedute, ma delle ricchezze che se gestite portano ad una fisiologica evoluzione. L’obiettivo per un allenatore, proprio come per un manager, è la forza autorganizzativa del sistema squadra. Autorganizzazione non è autogestione bensì qualcosa di più elevato, articolato e strategicamente influenzabile.
Le grandi qualità del manager non sono pianificabili e di fatto sono dipendenti dal carattere della persona. Quando parliamo di Mission e metodo dobbiamo per forza far riferimento alle qualità empatiche-relazionali e all’intelligenza emotiva della persona che ricopre un ruolo tanto delicato. Ci sono aspetti che non si riescono ad apprendere per conoscenze o letture di manuali piuttosto si riescono ad acquisire sul campo e riguardano il sesto senso che si sviluppa attraverso le qualità “umane” e l’esperienza vissuta. Si spiega il perché alcuni atleti rendano in maniera sensibilmente differente da squadra a squadra. Il motivo evidentemente non risiede solo nelle dinamiche di gruppo che hanno ad ogni modo la capacità di condizionare fortemente l’espressione del singolo talento e delle varie interrelazioni.
Risulta evidente che l’allenatore debba incidere individualmente e collettivamente, senza dimenticare che va sempre considerato il contesto in cui si opera, il quale incide in maniera determinante sulle dinamiche relazionali. Quando si parla di contesto s’intende proprio gli ideali del club, degli aspetti territoriali, economici e sociali. Allenare a Palermo, Napoli, Bari, Roma, Ancona, Perugia, Bologna, Genova, Milano , Torino, Udine è estremamente diverso; figuriamoci in realtà internazionali o extracomunitarie. Il manager deve capirlo e nel farlo, cercare di non trascurare i dettagli che possono risultare determinanti nello sviluppo delle varie dinamiche collettive.
“L’allenatore deve avere la qualità morale per sapere che i maestri sono i giocatori, non il contrario.” Cit. Silvano Prandi
Gestire una squadra vuol dire riuscire a comprendere le forze che ne fanno parte. Di fatto se si parla di forze interconnesse si fa un richiamo esattamente alle individualità caratteriali e alle competenze presenti all’interno del sistema-squadra. La base dell’autorganizzazione è la relazione che vive secondo valori ed obiettivi, che va condivisa ed esplicitata costantemente. Questo compito rimane al manager-allenatore, che con sensibilità ed intelligenza emotiva ha il compito di modulare il proprio intervento capendo quando lasciare spazio al caos generativo o quando intervenire invece per ricondurre il tutto verso un ordine necessario e per non perdere di vista la strada da percorrere. La leadership dell’allenatore è necessaria per dare spazio alle personalità emergenti. Senza l’ausilio dell’allenatore i componenti più carismatici tenderanno ad auto- organizzare le dinamiche sociali-relazionali per oscurare le personalità dei componenti che si espongono meno. Per evitare quindi che qualche componente del team si nasconda e subisca le dinamiche di squadra, il manager-allenatore dovrà avere doti empatiche-relazionali e scegliere come, se e quando intervenire per indirizzare le dinamiche di gruppo senza influenzarle a tal punto da distorcere le personalità individuali.
In un’ottica di performance, il Manager-Allenatore rimane quindi un gestore di risorse umane, con compiti fondamentali, che vanno ben oltre l’aspetto tecnico e si arricchiscono di cornici e prospettive psicologiche, sociali, statistiche, pedagogiche e filosofiche.