Si dice solitamente che il tempo è una variabile chiave del gioco. Ma esiste veramente questo fantomatico “tempo”?
Il tempo potrebbe essere infatti una grande illusione. Certo una di quelle illusioni necessarie alle nostre vite. La fisica contemporanea sostiene che non esiste qualcosa come “il tempo” ad un livello fondamentale ed elementare della materia. Il tempo è sì reale nella nostra esperienza quotidiana, ma quest`ultima è una approssimazione, una illusione appunto, una “misura della nostra ignoranza” [1].
D`altra parte questo tempo chiamato “illusorio” dalla scienza agisce molto concretamente sulle nostre vite: per il filosofo Bergson esiste una durata reale, una corrente continua e ineliminabile di passato e futuro che perdura e caratterizza la nostra coscienza, un tempo vissuto e soggettivo che tiene insieme la trama della nostra esistenza e dà corpo e valore al nostro vivere (siamo esseri pregni di memorie, di progetti, di attese, di azioni e riflessioni, cioè di tempo vissuto). Da questo tempo vissuto e concreto astraiamo poi un tempo spazializzato, cioè discreto e suddiviso in istanti separati e posti in sequenza, un tempo quantificabile e misurabile, oggettivo, che è il tempo delle lancette dell`orologio, un tempo valevole per tutti frutto di una operazione dell`intelletto che astrae e generalizza [2]. Le neuroscienze riconoscono d`altra parte che il cervello dedica aree e reti neurali apposite ad entrambi questi tempi, il personale e l`oggettivo, e che essi quindi sono un “filtro” originario del nostro fare esperienza, ovvero la nostra esperienza della realtà è inevitabilmente “temporalizzata” come direbbe Kant[3].
Insomma un bel groviglio di tempi, per cui potremmo dire che quello che chiamiamo “tempo” emerge in modo differente a diversi livelli, a differenti sguardi. Il tempo è una misura della complessità. Anche nel gioco possiamo “giocare” a differenti scale temporali, e anzi anche questa interazione di tempi, questa rete aggrovigliata, è una misura della complessità del gioco.
Esiste sicuramente un TEMPO OGGETTIVO, misurabile, cronometrabile. La partita dura tot minuti, l`esercitazione dura tot minuti… È interessante anzi notare come lo sport moderno si sviluppi parallelamente all`oggettivazione del tempo, e non esista senza questa: la rivoluzione industriale porta con sé la richiesta di una razionalizzazione del tempo, gli orari del transito merci da un luogo all`altro devono battere un tempo che non sia più arbitrario, il meridiano di Greenwich stabilisce quindi l`ora e inizia a regolare, secondo una astrazione, anche gli orari alle diverse latitudini (1870)[4]; parallelamente e contemporaneamente la formalizzazione delle regole, compresa quella del tempo-di-gioco, dà vita a quello che conosciamo come sport moderno.
Il tempo oggettivo in campo fa da cornice a quanto avviene nel gioco. Questa cornice può d`altra parte rimanere sullo sfondo (la sequenza di passaggi che dura 15min, la partita che dura 45min ecc.), o essere elemento posto in primo piano nel gioco (vediamo in tre minuti chi realizza più passaggi). Possiamo dunque giocare col tempo oggettivo: la partitina finale può essere scandita dai goal in un certo tempo (vince chi segna più goal in 10min di gioco) , o dal tempo che ci mettiamo a fare un certo numero di goal (chi arriva prima al tre vince, se una squadra realizza due goal consecutivi in tre minuti vale doppio ecc.).
Ci si rende subito conto, tuttavia, che quel tempo del cronometro non è vissuto allo stesso modo da tutti i giocatori: quei 15 min di sequenze diventano problematici e probabilmente più lunghi per un giocatore che ha un rapporto difficile col controllo orientato, gli ultimi 5min di partita non sono vissuti allo stesso modo dalla squadra in vantaggio e da quella in svantaggio ecc. C`è sempre un TEMPO SOGGETTIVO che dà una forte impronta all`esperienza di gioco; così come il tempo che passiamo a guardare una teca con un animale che ci spaventa o il tempo in attesa spasmodica che il semaforo ritorni verde si dilatano e sono realmente percepiti come più ampi rispetto al tempo oggettivo, così come il “tempo della felicità” vola e fugge presto, anche il tempo soggettivo che trascorriamo in campo è fortemente influenzato e mediato da vari processi: dalla biochimica del corpo (come può alterare il tempo la carenza di sonno o non corretta alimentazione), dalla memoria e dalla esperienza (che spesso fluidifica o rallenta il tempo di scelta e di azione), dalla attenzione e dalle emozioni che sono fondamentali nella dilatazione o nel restringimento del tempo soggettivo. Anche col tempo soggettivo possiamo dunque giocare: variare l`esercitazione aggiungendo “rumore” dilata il tempo di attenzione che il cervello presta alla dinamica della stessa (ma per qualcuno un “rumore” eccessivo e non gestibile può causare inibizione), il riconoscimento mnemonico di una situazione che rispecchia il contesto gara fluidifica i tempi di scelta, dal punto di vista relazionale la sicurezza e l`autostima “colorano” il tempo esperienziale del gioco in sfumature favorevoli all`apprendimento.
Nel gioco il TEMPO DELLE SCELTE ha quindi una matrice soggettiva ineliminabile, ma dipende anche dalla situazione di gioco in cui il giocatore è immerso. La contrazione del tempo di decisione sembra una tendenza importante: i dati confermano che il tempo medio da quando un giocatore riceve palla a quando la cede effettuando una scelta sembra diminuire, il gioco si fa più veloce[5]. Studi scientifici [6] ci dicono inoltre che il tempo neurale (il tempo di risposta del cervello agli stimoli) precede il tempo della consapevolezza, cioè il cervello prende decisioni, da mezzo secondo fino -dicono studi recenti [7]-ad alcuni secondi prima che ne diventiamo consapevoli. A certe scale temporali del gioco alcune scelte avvengono ad un livello inconscio, precedendo il pensiero. Se vogliamo giocare con il tempo delle scelte diventa dunque fondamentale una spazializzazione del tempo di gioco: a seconda della situazione, della distanza palla-compagni-avversari, ci saranno momenti in cui l`immersione nella relazione fa sì che la presa di decisione preceda appunto il pensiero (tempo agito), momenti in cui l`osservazione della relazione permette di percepire la scelta (tempo percepito), momenti in cui la distanza dalla relazione permette una interpretazione della scelta (tempo compreso). Allenare alle diverse scale spazio-temporali diventa di conseguenza fondamentale, perché, per esempio, nell`azione immediata su cosa si può far subito leva se non sull`emozione e i legami relazionali, la percezione sui principi di gioco e sul fatto di riconoscere quelle situazioni (quindi di averle esperite), la comprensione su processi ancora diversi: come ha sottolineato mister Giovanni Barbugian in un recente webinar, non è detto che la situazione dove ho spazio e tempo per pensare (es: 3 attaccanti contro un solo difensore in una metà campo aperta) sia necessariamente più facile, anzi, spesso il pensiero “frena” l`efficacia dell`azione e dunque anche queste situazioni vanno allenate.
Scelte, relazioni, tempo….fare la scelta giusta, in relazione a compagni e avversari, al momento giusto, ci rimanda al concetto di TIMING. Letteralmente il timing è una «distribuzione di segnali o l`esecuzione di operazioni che ordinano eventi e fenomeni in una successione temporale» [8]. Un concatenarsi insomma dei singoli tempi di gioco in maniera il più possibile fluida e coordinata. Giocare col timing significa allora esercitarsi ai segnali da riconoscere e interpretare per sincronizzarsi e compiere una certa azione: apprendere a leggere un gesto tecnico come segnale per far avvenire, per innescare (trigger) una interazione temporale: per esempio, il controllo orientato nella mia direzione come segnale perché effettui in quel preciso istante un movimento incontro al mio compagno, l’interpretazione del piede d`appoggio o di una postura o di un contatto visivo come momento per rispondere in un determinato modo.
Agire sul piano del timing è comunque rimanere su un piano sintattico (di segni), ma il gioco è sempre e prima di tutto anche una questione semantica (di senso): il tempo è quindi anche un TEMPO RELAZIONALE, un tempo che nasce dalle relazioni; non basta “leggere” i segnali del timing distribuiti nel gioco, devo anche interagire con una intricata rete di tempi dati dalle relazioni, una rete che ha spessore, che è densa appunto di significato: ogni giocatore gioca a un tempo diverso, che è il suo proprio tempo (ha significato per lui), e interpreta secondo il suo tempo i diversi segnali distribuiti (mi ricordo Clarence Seedorf che sembrava rallentare il gioco, quando invece instaurava una relazione straordinaria con i compagni fondata su tempi diversi) ; di più, due giocatori che hanno una forte relazione di gioco si intendono sui tempi anche senza bisogno di segnali; ogni avversario interpreterà in maniera diversa i segnali (il timing) per esempio del pressing ecc. ecc. Ecco allora che le diverse configurazioni compagni-avversari-palla-situazione di gioco fanno emergere una rete distribuita di tempi di relazione, di tempi significativi, di sistemi che si intersecano e si sovrappongono, da cui emerge quello che chiamiamo “tempo” come variabile chiave di gioco. Che altro non è che una illusione, una emergenza, un prodotto di scarto del gioco.
Che il tempo possa essere illusione è d`altra parte estremamente affascinante. Illudere (in-ludus) significa letteralmente stare al gioco. Il tempo allora forse ci illude, si defila, sfugge alle definizioni [9], ci scivola dalla mano come la sabbia che vorremmo trattenere, proprio per consentirci di stare nel gioco. È il vuoto che ci offre la pienezza del gioco.